Legambiente presenta il rapporto sullo stato del risanamento dei siti inquinati da amianto in Italia
“Emergenza nazionale. Urgente spostare la gestione dell’iter delle bonifiche dal Ministero agli Enti locali e istituire il fondo nazionale per i siti orfani”
75mila ettari di territorio contaminato da fibre di amianto che, in attesa della bonifica dei siti, continuano a mettere a rischio la salute dei cittadini. Anni e anni di battaglie sostenute da associazioni, comitati, sindacati per mettere in sicurezza il territorio e riconoscere i diritti delle famiglie dei lavoratori danneggiati - e in molti casi, purtroppo, uccisi – dalla sostanza estratta, lavorata, smaltita, abbandonata. Oltre 9mila casi di mesotelioma pleurico, il tumore dell’apparato respiratorio strettamente connesso all’inalazione della fibra di amianto riscontrati in Italia dal 1993 al 2004, con una esposizione che nel 70% dei casi è stata di tipo professionale.
Questi, in estrema sintesi, i temi di Liberi dall’amianto, il dossier di Legambiente presentato a Torino, nel corso della seconda conferenza nazionale non governativa “Amianto e giustizia”, promossa da un vasto cartello di associazioni tra cui AIEA (associazione italiana esposti amianto), Legambiente, Medicina Democratica nazionale e Isde (Medici per l’Ambiente), alla quale hanno aderito anche le sigle sindacali CISL, FIM CISL, CUB, COBAS, CGIL, FISMIC, FIOM CGIL.
L’amianto in Italia è presente in molte zone e in varie forme: da quello naturale che emerge in superficie e giace all’aria aperta nelle miniere abbandonate da almeno vent’anni, a quello grezzo contenuto in sacchi malamente stoccati nei magazzini o nei piazzali degli stabilimenti produttivi, fino a quello miscelato con il cemento nella classica ondulina dei tetti e nelle tamponature degli edifici industriali o domestici degli anni ’70 e ’80 presente diffusamente in tutta Italia.
Ma i numeri eccezionali dei casi di mesotelioma alla pleura si spiegano anche con il record non invidiabile della produzione di amianto che deteneva l’Italia fino al 1992, di secondo produttore europeo con oltre 3,7milioni di tonnellate di amianto grezzo estratto, prodotto e commercializzato in tutto il Paese, con alcune situazioni eccezionali. Come il caso del milione di metri quadrati utilizzati nelle coperture di edifici privati di Casale Monferrato (Al), ai 45milioni di m3 di pietrisco di scarto contaminato utilizzato per il rimodellamento dei versanti e delle valli circostanti la miniera di Balangero (To), passando per i 90mila m3 di fibra contenuti nello stabilimento produttivo di cemento amianto nella città di Bari, fino ad arrivare ai 40mila big bags con rifiuti d’amianto prodotti fino ad oggi nella bonifica di Bagnoli a Napoli.
Numeri da vera e propria emergenza nazionale, che indicano con chiarezza i rischi per una parte dei cittadini nel nostro Paese, che vivono in quei 75mila ettari di territorio interessati dalla presenza dell’amianto e inseriti nel Programma nazionale di bonifica del Ministero dell’ambiente. Ci sono ampie porzioni di province come quella di Alessandria - con Casale Monferrato e 47 comuni limitrofi costruiti con l’amianto -, città come Napoli (a Bagnoli) e Siracusa caratterizzate dalla presenza di stabilimenti di produzione di cemento amianto nelle loro zone industriali, comuni come Bari e Broni (Pv) che ancora oggi ospitano nel centro abitato importanti siti produttivi dismessi che lavoravano la fibra killer, fino ad arrivare alle miniere di Balangero (To), la più grande d’Europa, ed Emarese (Ao) da dove veniva estratto il minerale prima della lavorazione nelle cementerie italiane e non solo.
“Nonostante l’urgenza sanitaria - ha dichiarato Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente – le bonifiche vanno a rilento, grazie anche all’inefficiente gestione da parte del Ministero dell’ambiente delle conferenze dei servizi per la valutazione eautorizzazione dei piani e dei progetti per la bonifica. Bisogna spostare la gestione dell’iter in ambito locale, presso le Regioni o i Comuni, assicurando al Ministero e agli enti tecnici nazionali il compito di supportare, verificare e indirizzare il procedimento, garantendo ai cittadini trasparenza e disponibilità delle informazioni sullo stato di avanzamento del risanamento ambientale”.
Sono almeno 2mila all’anno le morti causate dall’esposizione all’amianto nel nostro Paese: circa 900 per mesotelioma pleurico, altrettanti per il tumore ai polmoni, il resto per il tumore alla laringe e alle ovaie. Ma altre fonti parlano addirittura di 3-4mila decessi all’anno.
I settori lavorativi che più hanno esposto i lavoratori all’amianto sono stati l’edilizia, i cantieri navali e ferroviari, l’industria pesante (metalmeccanica e metallurgica) e ovviamente quella del cemento amianto.
Tutti questi dati purtroppo sono destinati a crescere alla luce del periodo di latenza della malattia. Gli epidemiologi prevedono infatti un aumento delle malattie in individui in precedenza esposti nell’ambiente professionale ma anche domestico, in alcune decine di migliaia di casi nei prossimi anni.
E proprio per l’elevato numero di persone coinvolte e per la gravità della situazione sanitaria, la questione amianto è finita nelle aule di tribunale. Nell’aprile 2009 si è finalmente aperto, a Torino, il processo a carico dei responsabili della società Eternit S.p.A., gestore degli stabilimenti di Cavagnolo (To), Casale Monferrato (Al), Bagnoli (Na) e Rubiera (Re), per i danni prodotti alla salute degli operai nelle lavorazioni da amianto, ritenuta responsabile della morte e della malattia di migliaia di persone. Contro i due proprietari della Eternit - lo svizzero Schmidheiny e il barone belga De Cartier De Marchienne - imputati di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e disastro colposo, si sono costituiti Parte civile in tantissimi tra famigliari, comitati e associazioni, Legambiente in primis. A fine luglio c’è stato il rinvio a giudizio dei due imputati nel processo che partirà nel capoluogo piemontese il prossimo 10 dicembre. Ma ci sono anche la Fibronit e la Sacelit tra le aziende protagoniste di queste lavorazioni, i cui stabilimenti produttivi sono oggetto di interventi di bonifica, presi in esame nel dossier di Legambiente, realizzato con non poche difficoltà, per la collaborazione solo parziale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Nello specifico, questo lo stato attuale delle bonifiche: a Casale Monferrato, dove negli anni ’70 lo stabilimento Eternit produceva il 40% del totale nazionale di cemento amianto, dal 1998 (data di entrata nel Programma nazionale del Ministero), sono state portate a termine le bonifiche dello stabilimento e della sponda destra del fiume Po (sono state risanate 54mila m2 di superfici e 6.500 m2 di spiaggia inquinata con lo smaltimento totale di 28.500 m3 di materiale contaminato), di 125mila m2 di coperture di edifici pubblici, di 420mila m2 di coperture private (su un totale di 1 milione) e di 60 aree tra sottotetti e cortili contaminati da polverino d’amianto per una superficie interessata di 18.500 m2.
Nello stabilimento Eternit di Bagnoli invece, nei 20 ettari risultati contaminati dall’amianto, dopo la rimozione di oltre 25mila tonnellate di materiali inquinati mediante 40mila big bags, la bonifica è arrivata al 40-45% dell’ultimo lotto dei lavori preventivati e la conclusione definitiva è prevista per i primi mesi del 2010.
Qualche passo in avanti, anche se solo negli interventi di messa in sicurezza, c’è stato anche sull’impianto Fibronit di Bari e su quello Eternit di Siracusa.
Nello stabilimento del capoluogo barese sono stati completati la caratterizzazione dell’area e gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza; è stato approvato con prescrizioni il progetto preliminare per la realizzazione del parco pubblico a cura del Comune e si è in attesa del progetto definitivo.
Nel sito siracusano invece sono stati eseguiti gli interventi d’emergenza sullo stabilimento, sulla scogliera e sull’area a mare con la rimozione e lo smaltimento di circa 12.500 tonnellate di materiali contaminati da amianto, per una spesa complessiva di circa 24,5milioni di euro.
Per quanto concerne invece i restanti siti di interesse nazionale, continuano gli imperdonabili ritardi sugli interventi di messa in sicurezza d’emergenza, sulle caratterizzazioni e sui progetti preliminari e definitivi di bonifica. È il caso di Broni, in provincia di Pavia, nel Programma nazionale di bonifica dal 2002, dove a causa della mancanza di risorse economiche, sono stati eseguiti solo gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e il piano di caratterizzazione dell’area Fibronit, mentre queste operazioni preliminari non sono state completate nelle aree Ecored e Fibroservice. Ad oggi, il completamento della bonifica del sito, previsto inizialmente per il 2013, ha già subito un ritardo di almeno un anno rispetto al programma preventivato.
Sulla miniera di Emarese, in provincia di Aosta, sito nazionale dal 2001, sono stati realizzati solo gli interventi di messa in sicurezza di emergenza. Il piano di caratterizzazione è stato approvato nel 2005 mentre ad oggi risultano approvati il progetto preliminare di tutto il sito e il progetto definitivo del primo stralcio del cratere della cava. Nel frattempo sono sorti profondi dissensi tra il Ministero dell’ambiente e gli enti locali, che rischiano di spostare ulteriormente la data di completamento dei lavori di bonifica.
I ritardi non mancano neanche sulla bonifica della miniera di Balangero (To), classificato come uno dei 15 siti di interesse nazionale addirittura nel 1998. Qui sono stati realizzati solo alcuni interventi di messa in sicurezza d’emergenza sulle due discariche a cielo aperto, sulle vasche di decantazione e degli stabilimenti produttivi dove, a causa della frammentazione delle proprietà, il percorso di risanamento ambientale risulta ancora più difficoltoso.
“Bisogna trovare le risorse economiche per bonificare i “siti orfani” (gli stabilimenti produttivi di aziende fallite) attraverso la creazione di un Fondo nazionale sul modello del Superfund statunitense – ha concluso Ciafani - e mettere in campo una campagna informativa sui rischi derivanti dall’esposizione alle fibre di amianto dovuta al deterioramento e allo smaltimento illegale delle strutture in cemento-amianto dismesse. Non c’è tempo da perdere per fare giustizia, riconoscere i diritti delle vittime e delle loro famiglie, e evitare che tutto questo possa ripetersi ancora nel futuro”.
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