La provincia di Enna detiene il
triste primato del servizio idrico integrato più caro d’Italia, nel 2019
mediamente di 744 Euro a utenza domestica. I circoli Legambiente della
provincia di Enna, sempre attenti alla tutela del territorio e dei cittadini,
intervengono sull’ampio dibattito del caro acqua
Sia chiaro l’acqua è una risorsa, ed
anche preziosa. Diviene ancora più preziosa in un contesto ambientale come
quello siciliano nel quale i livelli di consumo superano, e non di poco, le
disponibilità medie e la capacità di rigenerazione delle scorte naturali o
antropiche.
L’acqua deve costare il giusto, ma
l’accesso all’acqua deve essere garantito a tutti e non deve essere mai sotteso
alle mere leggi del mercato.
Oggi il quadro della distribuzione e
della gestione delle acque sul territorio provinciale ennese è caratterizzato
in primis dal costo esorbitante della risorsa, e, se parte del costo così
elevato è determinato dal prezzo alla fonte di Siciliacque (0,69 Euro/mc
laddove altri gestori pubblici e pubblico-privati in Italia non superano mai i
30 centesimi ed in alcuni casi stanno ai 7 centesimi al mc) la tariffa si
impenna appena passa alla elaborazione di Acquaenna, il gestore locale che,
attraverso l’adozione di Piani d’ambito costosissimi e con notevole
spregiudicatezza, fa ricadere sull’utenza milioni di Euro di spese non di rado
superflue.
Se a tutto questo poi si aggiunge la
discontinuità della erogazione, le perdite nella distribuzione che continuano a
contrastare con il costo delle sistemazioni delle reti urbane, la pessima
qualità quantomeno organolettica delle acque distribuite, praticamente
inutilizzabili ai fini della potabilità,
il costo elevatissimo del personale che, notoriamente, è stato prescelto
attraverso un sistema esclusivamente clientelare, il quadro che emerge è
semplicemente desolante.
Oggi, chiusa la vicenda ATO, l’ATI
ennese si avvia ad una fase importantissima che potrebbe prevedere la
approvazione di un nuovo Piano d’Ambito, meno impattante di quello sin qui
seguito, ma la governance del gestore
mira ad una ulteriore impennata dei prezzi che rischia di creare, anche in
ragione del detrimento della economia locale causa COVID, una diffusa
impossibilità a garantirsi l’accesso alla risorsa.
Il Piano d’Ambito ha sin qui
realizzato poco più di 100 milioni di investimenti con un carico pubblico di 66
milioni e quasi 38 milioni derivati dalle quote versate in bolletta dai
cittadini. Adesso si ipotizza, per i prossimi 15 anni, una spesa pari ad altri
200 milioni di Euro per i quali si immagina una partecipazione pubblica pari a
39 milioni di Euro e la rimanente parte, oltre 170 milioni, a carico
dell’utenza. Una previsione che rischia di raddoppiare, nel prossimo
quindicennio, la spesa pro-capite. In tutto questo registriamo la quasi totale
assenza della politica o, peggio, l’adagiarsi su posizioni di difesa del
management di Acquaenna.
Per tutto questo Legambiente, che è
da sempre per il ritorno della gestione delle acque al pubblico, chiede che
l’assemblea ATI proceda con un’immediata revisione del Piano d’Ambito che
valuti e comprenda gli investimenti realmente necessari, con la creazione di
una task force tra gli UTC dei comuni dell’ambito per l’individuazione di altri
canali di finanziamento, a partire dalle ingenti risorse UE per la depurazione,
con la stipula di regole certe per una tariffazione equa e sostenibile, anche
per le fasce più deboli della popolazione, che determini una significativa e
consistente riduzione della tariffa ed anche con la messa in mora del gestore
che non è stato in grado di assicurare qualità delle acque distribuite e
funzionalità dei depuratori.
28 dicembre 2020
L’ufficio stampa
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