La partecipazione di Legambiente alla campagna referendaria sull’acqua
Legambiente ha deciso di far parte del Comitato promotore dei referendum contro l’obbligo di privatizzare il servizio idrico (previsto dal decreto Ronchi del novembre 2009). Le norme che spingono alla privatizzazione dell’acqua sono, infatti, già in atto e stanno manifestando tutti i loro effetti nocivi. Ciò che ci preoccupa non è solo che sono stati messi in discussione alcuni principi fondamentali (l’acqua è un bene comune, il suo accesso deve essere garantito a tutti, il suo utilizzo deve rispondere a criteri di pubblica utilità) ma anche il fatto che così ci allontaniamo dalla soluzione dei veri problemi (tra questi le perdite lungo la rete acquedottistica e distributiva, le annose carenze nella depurazione, i costi troppo bassi della risorsa che hanno finito col favorire sprechi e iniquità, etc).
Nonostante i dubbi sullo strumento referendario - più che legittimi considerando che negli ultimi quindici anni mai si è riusciti a raggiungere il quorum, a maggior ragione se i temi su cui saranno chiamati a esprimersi gli italiani saranno diversi (nucleare, giustizia, lavoro) -, Legambiente ha deciso di partecipare alla campagna referendaria per alimentare il dibattito con la sua idea di gestione sostenibile delle acque e per costruire un’alleanza con gli enti locali per concretizzarla.
La nostra adesione non ha come obiettivo la ri-publicizzazione della gestione dell’acqua, visto che i problemi attuali del servizio idrico italiano sono un’eredità delle gestioni totalmente pubbliche, ma punta alla modifica parlamentare della legge vigente, perché fondata su presupposti assolutamente sbagliati. Infatti la gestione privata viene considerata erroneamente la soluzione a tutti i mali, come testimoniato da alcune esperienze fallimentari di privatizzazione del servizio idrico integrato sul territorio italiano, mentre non esiste nessuna normativa comunitaria che obbliga gli Stati membri a liberalizzare la gestione dell’acqua. Inoltre con il decreto Ronchi rischiano di essere compromesse quelle (non numerosissime a dir la verità) gestioni pubbliche che hanno garantito un servizio idrico efficace, efficiente ed economico.
Abbiamo ritenuto utile essere dentro la campagna referendaria anche per creare consapevolezza nei territori sui problemi veri e sulle soluzioni possibili, che non coincidono semplicisticamente con la gestione pubblica dell’acqua, nonostante i dubbi sulla formulazione di parte dei tre quesiti:
- il primo quesito punta ad abrogare l’articolo 23 bis del decreto Tremonti approvato nel giugno 2008, così come modificato dal decreto Ronchi, che inserisce tra i servizi pubblici locali da liberalizzare anche il servizio idrico integrato;
- il secondo quesito, che nel merito suscita più di una perplessità, vuole abrogare l’articolo 150 del decreto legislativo 152 del 2006 (il Codice ambientale), che prevede le tre modalità di affidamento in gestione del servizio idrico integrato già previste dalla riforma che partì con la legge Galli del 1994: la gara, l’affidamento in house o a una società mista;
- il terzo quesito, che è quello meno condivisibile sul piano dei principi, vuole abrogare una parte del comma 1 dell’articolo 154 del decreto legislativo 152 del 2006 per fare in modo che la tariffa non sia commisurata sulla remunerazione del capitale investito, con il rischio di bloccare gli investimenti necessari al miglioramento del servizio idrico.
Per Legambiente la modifica della legge vigente deve essere finalizzata alla risoluzione dei problemi del servizio idrico, ormai noti da anni:
- il 33% dell’acqua che si perde nelle reti colabrodo di trasporto e distribuzione;
- il 30% degli italiani che non è ancora servito da un depuratore (18 milioni di cittadini in Italia ancora oggi scaricano i loro reflui non trattati direttamente nei fiumi, nei laghi e nei mari!) e il 15% da una rete fognaria;
- un costo mediamente basso della risorsa che non ha sfavorito i grandi consumatori; noi siamo ovviamente favorevoli a garantire il diritto a tutti, ma serve un sistema tariffario che scoraggi gli sprechi;
- un accesso alla acqua che in alcune parti del Paese è ancora oggi razionato;
- la mancanza di politiche di efficienza e risparmio che permettano di passare dalla gestione della domanda alla pianificazione dell’offerta della risorsa idrica;
- l’assenza di una authority pubblica forte, autorevole e indipendente per controllare che le gestioni rispondano ai criteri di un uso socialmente equo e ambientalmente sostenibile dell’acqua.
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